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La convocazione da parte del notaio Rossi
per urgenti comunicazioni mi stupì mol-
tissimo.
Che cosa mai voleva questo notaio da me?
Nullatenente, giramondo, lavori precari,
uno qui uno là: Francia, Germania, Norve-
gia, Stati uniti. Mi ero sempre spostato al
seguito degli amori del momento. In Costa
Azzurra avevo lavorato in un Golf Club, in
Norvegia avevo dato la caccia alle balene,
negli Stati Uniti per un po ero stato
accompagnatore di anziane signore dana-
rose. Niente di scabroso, per carità: sempli-
cemente il mio compito consisteva nel con-
sigliarle circa i loro acquisti milionari.
Rientrato in Italia a fine maggio ero in un
periodo di stanca. Mi guardavo pigramente
intorno alla ricerca di qualcosa da fare
quando appunto mi raggiunse la convoca-
zione del notaio.
Fu un fulmine a ciel sereno: la zia Carlotta,
anzi per meglio dire la prozia Carlotta
sorella di nonno Aldo padre di mia madre,
mi lasciava erede di un casale in Toscana e
di dieci ettari di vigneti pregiatissimi. Feci
fatica a non saltare dalla sedia per la sor-
presa e la felicità. Avrei potuto finalmente
metter radici in Italia, avrei potuto sposare
Cristina, la mia ultima fiamma (italiana
questa volta), sarei diventato un esperto
vignaiolo e avrei venduto i miei vini a tutti
i numerosi amici che mi ero fatto in tutto il
mondo nel corso dei miei vagabondaggi.
Cera però una clausola da soddisfare,
minformò il notaio: la zia Carlotta mi
avrebbe ceduto tutto quel ben di Dio a con-
dizioni che mi fossi occupato personalmen-
te vita natural durante del suo vecchio
compagno desistenza al quale non avrei
dovuto far mancare nulla.
La clausola non mi preoccupò più di tanto.
Laccettai seduta stante con tanto di firma
di garanzia e, per bruciare i tempi, il giorno
seguente mi recai al cronicario nel quale zia
Carlotta, causa la sua malattia paurosamen-
te aggravatasi nellultimo anno, aveva par-
cheggiato il suo amatissimo compagno.
Daltra parte il Parkinson del quale soffriva
non le aveva lasciato tregua e poi novanta-
quattro anni sono davvero troppi per dover-
si occupare ancora di un compagno.
Durante il percorso verso la mia destinazio-
ne canticchiavo beatamente mentre il moto-
re della mia vecchia Wolksvagen girava a
tutto volume macinando chilometri.
Giunto a destinazione trovai Johnny, lama-
tissimo compagno di zia Carlotta, molto
agitato e, se così posso dire, di pessimo
umore, dispettoso e affatto disposto a
seguirmi.
Forte delle carte rilasciatemi dal notaio, la
direzione dello stabilimento non frappose
ostacoli al rilascio del loro assistito, anzi ne
fu estremamente sollevata. Johnny era un
rompiballe ed il suo carattere scorbutico si
era dimostrato scarsamente compatibile
con quello di tutti gli altri ricoverati.
Ci vollero tre persone per immobilizzarlo e
praticargli uniniezione calmante. Stia
attento: leffetto, dura solamente qualche
ora.
Rassicurai tutto il personale e sistemai il
vecchio Johnny sul sedile posteriore della
mia vettura.
Dormicchiò tutto il tempo del breve viag-
gio e quando arrivammo al cimitero scese
di buon grado e mi seguì traballante.
Una grande fotografia di zia Carlotta cam-
peggiava sulla lapide che riportava a carat-
teri dorati le date di nascita e di morte della
zia.
Lei vi appariva in forma smagliante: lungo
abito rosso fuoco, parasole giapponese,
ventaglio, cappello di paglia di Firenze a
larga tesa ornato da lunghi nastri azzurri,
fiori di campo e
un uccellino dalle piume
variopinte in equilibrio precario sul medesi-
mo: tipico abbigliamento della zia.
Quando ero stato suo ospite per quasi un
intero anno allora ne avevo dodici ero
rimasto affascinato dalle sue estrose accon-
ciature, dalla sua vitalità e dai suoi mirabo-
lanti racconti di viaggio. Mamma si era
ammalata di TBC a quellepoca e quindi
non poteva occuparsi di me.
Passai con zia Carlotta mesi favolosi anche
perché non mi iscrisse a scuola, ma sinte-
ressò ai miei studi direttamente dato che era
stata unottima insegnante.
Le sue lezioni private mi permisero di sal-
tare a pié pari la terza media e di presentar-
mi lottobre successivo direttamente in
primo liceo. Cara zia Carlotta!
Per tornare a Johnny: alla vista della foto-
grafia della sua amata lanciò un urlo fortis-
simo e cercò di staccarla dallovale di
marmo nel quale era inserita.
Dire che pianse forse è troppo, certo mugo-
lò, come può mugolare un vecchio spelac-
chiato triste babbuino.
Ebbi il mio daffare per riportarlo alla mac-
china e rinchiudercelo.
Post scriptum
Forse, anzi certamente, i babbuini africani
(che sono addomesticabili quando presi in
giovane età) non mugolano, ma non so pro-
prio come si chiama il verso che fanno. Cè
qualcuno che me lo sa dire, per favore?
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LA SCOMPARSA
DI DIANA DREI
LEREDITÀ Il racconto
di Tilde Richelmy
Lia Drei, nota pittrice e sensibile poetes-
sa, abitante in Via Sangemini, ci ha lascia-
to allinizio di questa primavera.
Figlia di Ercole Drei, pittore e scultore
romano con studio a Villa Strohl Fern, a
Piazza del Popolo, e moglie del pittore
Francesco Guerrieri, Lia Drei, studiò pit-
tura e frequentò lAccademia dellAsso-
ciazione Artistica Internazionale.
Protagonista del movimento strutturalista
dei primi anni 60, fu la co-fondatrice del
Gruppo 63 e dello Sperimentale p.. Parte-
cipò a molte mostre tra cui Linee della
ricerca artistica in Italia, dal 1960 al
1980, al Palazzo della Esposizioni di
Roma - e importanti rassegne internazio-
nali come le Biennali di Venezia e di San
Paolo del Brasile. Le sue opere sono
esposte in numerosi Musei italiani ed
esteri.
Oltre che come artista famosa ed afferma-
ta a noi piace ricordarla come amante
della natura e del verde dei nostri giardi-
ni; ogni giorno faceva una passeggiata nel
Parco di Monte Mario, vicino al Centro
Don Orione, con il suo piccolo cane e un
sottile bastone, e passando vicino alla
grande quercia che sta allinizio del
parco, la salutava e abbracciava. Come
per ringraziare la terra, la natura e la vita.
(G.Credazzi)
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zioni sono articolate, anche perché redi-
gere poi una notizia su appunti presi al
volo potrebbe non rispecchiare fedel-
mente le situazioni prospettate. Senza
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proverbio latino recita Verba volant
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